Sul tavolo una piccola lavagnetta riportava il suo nome con l’orario. Michele guardò l’orologio, le 17.50: era in anticipo di dieci minuti. Fece segno alla cameriera e si sedette dando le spalle al locale. Il pomeriggio cominciava a far calare il sole e una leggera brezza rendeva più piacevole lo stare all’aria aperta, in quella torrida estate interminabile. Si sedette accavallando le gambe. I jeans cominciarono a tirargli sulla vita e guardandosi intorno come se gli altri clienti se ne fossero accorti, mise giù la gamba, riprendendo così fiato. Doveva mettersi a dieta, prima o poi lo avrebbe fatto. Gli occhi azzurri come il ghiaccio si persero nella fontana che troneggiava nella piazza. Finalmente avevano riaperto l’acqua e lo scrosciare leggero sembrava musica di contorno in quel luogo quasi incantato. Poche macchine, poca gente durante il giorno, le giuste luci e il vociare allegro delle compagnie la sera. A Roma sembrano incredibili posti come questo.
La sua attenzione venne richiamata da una coppietta seduta sul bordo della fontana. Avranno avuto al massimo diciassette anni. Lei con una gonna cortissima, le scarpe da ginnastica e un toppino che la copriva appena. Lui, con dei bermuda beige e una semplice maglietta bianca, mentre le accarezzava i capelli lunghi e lisci. Non parlavano ma ad un certo punto si fissarono negli occhi, lasciando parlare le loro anime.
Si accese una sigaretta che aveva già accuratamente rollato prima di sedersi. Un fumo aromatico gli coprì il volto, bruciando l’estremità accartocciata, che pian piano correva verso la barba.
Fu allora che la vide arrivare a piedi, dalla stradina laterale che arrivava da Corso Trieste. Un sorriso gli si stampò sul volto nel vedere come anche se gli anni l’avevano modificata, era pur sempre la stessa ragazzina di trent’anni prima. Quella camminata l’avrebbe riconosciuta tra mille, perché emanava una sensualità coinvolgente. Una sensualità che ora si era fatta ancora più cosciente, con lo sguardo fisso davanti a lei e gli occhi che ridevano mentre erano finiti dritti dentro ai suoi. Aveva un vestito leggero e lungo sotto al ginocchio, sopra dei sandali neri con l’incrocio che le incorniciava i piedi ben curati. Il piccolo tratto di strada gli sembrò interminabile e l’agitazione lo prese alla sprovvista. Non era da lui sentirsi in imbarazzo o in difficoltà, soprattutto davanti ad una donna. Lasciò cadere in terra la sigaretta e alzandosi la spense con il piede un instante prima di trovarsela davanti. Chiuse per un istante gli occhi annusando nell’aria quel profumo che anni fa gli faceva girare la testa, sempre lo stesso, sempre così penetrante. Rimasero così per qualche istante a fissarsi cercando di scorgere l’uno nell’altra tutto quello che potevano aver fatto in tutti questi anni che erano stati lontani.
Allo stesso tempo, in quel breve momento scandito solo dal tintinnio dei bicchieri e dei piatti degli altri tavolini e di quelle poche macchine che passavano nella piazza, si ritrovarono catapultati negli anni del liceo e Daria gli prese la mano, guardando il tatuaggio rimasto intatto sulle dita.
“Dai sediamoci, sembriamo due ragazzini alle prime armi” disse Michele per cercare di uscire dall’impaccio e dal contatto con la sua mano.
“E pensare che al posto di questo ristorante secoli fa qui c’era una lavanderia, te la ricordi?” Disse Daria guardandosi tutto intorno.
“Sinceramente mi ricordo meglio la tabaccheria dove venivamo tutti a comprare le cartine e che ancora le vende, ci sono entrato poco fa”.
Senza aggiungere altre parole cominciarono a guardare i cocktail riportati sul menù digitale nel proprio cellulare, dopo aver scansionato il QR-Code posto sul tavolo, finendo in un silenzio che ingoiò di getto tutto quello che li circondava.
“Perché mi hai cercato?” Chiese Michele senza alzare gli occhi dal cellulare. Daria poggiò la schiena alla sedia di ferro lasciando scivolare le mani sul tavolo. Cominciò a giocherellare con un anello che portava da sempre al dito e senza il quale si sentiva persa. Un po’ come quando scordi l’orologio a casa e continui a guardare il posto per tutto il giorno in cerca dell’ora, una sensazione di grande fastidio.
“Curiosità forse, oppure perché quando accadono certe bruttissime esperienze si rimane tagliati fuori ognuno dalla vita degli altri, senza dare la possibilità a nessuno di chiarirsi o semplicemente di continuare ad esistere sullo stesso pezzo di Terra. Ma anche perché quando perdi una persona così importante il tempo non passa, portandosi via una serenità che sai benissimo che non potrai mai più riacquistare. Lei mi manca ancora come quando è successo l’incidente e nei tuoi occhi riesco a rivedere una parte di lei. E per ultimo perché volevo vedere se ancora potevamo considerarci uniti in qualche modo da quella strana empatia che ci aveva avvicinato da ragazzini. I tuoi occhi sono sempre gli stessi e forse ora sono più maturi ed è quello di cui avevo bisogno. Sapere che siamo cambiati, cresciuti, migliorati con il desiderio però di tornare tutti a respirare. Perché sai, io ho smesso di respirare dal quel maledetto giorno e sono sicura che a te è successo lo stesso dal momento in cui tornando da Ostia, hai scoperto che non sarebbe più stato uguale dopo quello che era successo al tuo migliore amico, alla sua famiglia”.
Michele era rimasto in silenzio, poi alzò lo sguardo sentendosi osservato. Uno sguardo che gli pesava addosso ma allo stesso tempo lo liberava da pensieri ossessivi che lo avevano perseguitato per tutti questi anni.
“Sono cambiato, hai ragione, e a volte faccio fatica a guardarmi indietro. Ho una figlia di dieci anni ed ora vivo per lei. Diventare genitori sicuramente ci riporta con i piedi per terra, capendo veramente quali siano le priorità nella vita. Sono pulito ormai da tantissimi anni e la sola idea di quanto male ha portato la droga nella mia vita e in quella di chi si fidava di me al tempo, mi fa ritenere un uomo fortunato per quello che invece ho oggi. Forse non merito tutto questo”.
Michele prese il telefono cominciando a scorrere tutte le fotografie che intasavano le cartelle. SI fermò su una in particolare e rimase qualche istante a guardarla prima di farla vedere a Daria. Il suo sguardo diventò più tenero e tutta la tensione accumulata nella sua confessione appena fatta, si sciolse in poche parole: “Il mio amore” disse mostrando la foto della sua bambina quando aveva pochi giorni. “Quando ho scattato questa foto è iniziata la mia terza vita. Dico terza perché dopo l’incidente di Pietro e Federico io sono morto con quella famiglia per rinascere più incattivito di prima. Tornando da Ostia da solo mi sono sentito abbandonato da Federico, tradito. Tutta la colpa ricadde su di me e forse in finale era anche giusto così. Quando seppi dell’incidente per un attimo ne fui anche felice – Ben gli sta a quello spione – pensai. E tutta la mia rabbia ricadde su Pietro, vederlo stare male non mi importava e non importava niente al di fuori di me. IO. Un egocentrismo che era arrivato all’ennesima potenza anche con te. Grazie a Ginevra invece ho lasciato andare via la mia parte negativa, trovando spazio solo al papà che sono adesso e solo con la sua nascita ho capito veramente il dolore di quella famiglia, dei suoi genitori mentre venivano a Ostia, del fratello gemello abbandonato e messo da parte. Forse solo ora che ne parlo con te dopo trent’anni riesco a vedere che oltre a me c’erano altre persone reali con una propria vita e tanti sogni nel cassetto”.
La parole di Michele chiusero un cerchio rimasto per troppo tempo ancora aperto. Un respiro più lungo degli altri, come quando prendi fiato dopo averlo trattenuto per troppo tempo sott’acqua. I due ordinarono due prosecchi accompagnati dalle patatine fatte in casa e dal pollo fritto che accompagna ogni giorno gli aperitivi in quell’angolo di paradiso. Si scambiarono le foto, si raccontarono trent’anni solo nelle loro parti più belle fino a quando un temporale di fine estate li fece correre via sotto al porticato. Michele aveva portato con sé i due calici e ne porse uno a Daria: “Saranno loro due con questa pioggia a farci vedere che sono insieme a noi? Sai ci penso spesso, sarebbero stati fantastici insieme” disse Daria alzando il calice verso la pioggia.
“Hai notizie di Federico?” Le chiese con voce tremante.
“No, ci siamo persi di vista una decina di anni fa. So però che sta bene, ha trovato la sua serenità lontano da Roma ed è giusto che sia così. Chissà magari un giorno saremo pronti a rivederci tutti insieme”.
La pioggia smise di scrosciare sui tavoli apparecchiati e una forte ventata alzò la stola che Daria aveva lasciato sulla sedia, facendola volare verso la fontana in una danza morbida, mossa da mani invisibili. I due restarono a guardarla a bocca aperta, senza riuscire a muoversi, convinti e nella speranza che alla fine nessuno va poi mai via veramente da questo mondo, restando per sempre al nostro fianco.
Piazza Caprera, fa parte dei 6 capitoli aggiuntivi pubblicati come Spin-off del Romanzo l’Undicesimo giorno della Falena uno al mese a partire da Aprile 2022. La pubblicazione sarà gratuita su tutti i social dell’Autrice e della Casa Editrice La Ragnatela Editore.
Il romanzo in versione digitale e cartaceo potrà essere acquistato su Amazon e nelle migliori librerie italiane.
L’undicesimo giorno
della falena
Eva Forte
© 2022 La Ragnatela Editore
ISBN: 9788899651336
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